In un quaderno di terza elementare scrivevo, a nove anni, a proposito di “Quello che vuoi fare da grande”, che sarei voluto diventare un “pittore-giardiniere”. La passione per l’arte e per le piante, il paesaggio e la campagna è stato il motivo costante della mia vita, che ha alimentato l’ispirazione che riesce a trasmettere alla materia non solo una forma, ma un corpo interno, un linguaggio, una emozione che si diffondono a chi guarda.
La premessa di tutti i miei interventi è che ogni spazio è l’espressione della cultura e dei luoghi che lo hanno generato.
Ricerco questo legame con il fine di trovarne la sintesi nel progetto e nella cura del dettaglio.
La bellezza.
La bellezza esercita effetti benefici sulle persone: dà identità e sicurezza, come sa chi è nato in una bella casa, in un bel paese, in un bel contesto naturalistico.
La bellezza induce ad una maggior cura e al provare piacere a condividerla con gli altri.
Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’anima e delle mani; dove trovano applicazione la conoscenza delle tecniche e delle opere altrui, dove l’ispirazione trasmette alla materia non solo una forma, ma un corpo interno, un linguaggio che si diffonde a chi guarda.
La naturalezza.
La naturalezza viene considerata normalmente una spontaneità originaria a cui l’uomo deve collegarsi nella propria ricerca della verità e della realtà.
Nel progetto del giardino non possiamo però pensare che sia una dote solo istintiva, ma piuttosto una qualità che si raggiunge in fase matura perché sottintende una conoscenza profonda; è quella naturalezza che permette di muovere le mani con maggiore libertà, ottenendo la spontaneità che si ha quando le parti di un quadro, di una architettura, di un giardino danno luogo ad una forma così compiuta da non poter essere diversa.
Il genus loci.
Ogni luogo, come ogni persona, ha il suo genio individuale che si manifesta con modi e caratteristiche peculiari.
Interrogare il genio del luogo significa cercare di comprendere la potenziale perfezione naturale di un luogo e aiutarla ad emergere mediante interventi discreti.
Ogni luogo possiede caratteristiche geologiche, idrogeologiche, botaniche, climatiche, architettoniche sue peculiari.
Se le portiamo alla luce, rispettando la vocazione del luogo, scopriamo di volta in volta le promesse del potenziale.
Il progetto cerca il riequilibrio e soluzioni caute, naturali in cui l’innovazione sia comunque partecipe dei significati dei luoghi, affinché ogni cosa abbia un proprio carattere, una personalità, rifuggendo concettualizzazioni spinte e false.
Questa mentalità paesaggistica – e l’umiltà di approccio che comporta – rifugge dagli effetti scenografici, dalle mode, dalla gratuità, dagli atteggiamenti stravaganti che ricercano esclusivamente “l’immagine”, quasi essa fosse fine a sé stessa.
Ogni ambiente, ogni contesto geografico e culturale, è portatore di valori unici e irripetibili che ne costituiscono l’identità: all’analisi ne spetterà l’individuazione, al progetto l’interpretazione.
L’elemento vegetale
“La pianta” è l’elemento costruttivo e compositivo del paesaggio, cosicché ogni singola essenza testimonia le motivazioni, il filo conduttore che lega le idee, le scelte alle cose, rifiutando lo standard e la casualità.
Ogni esemplare, scelto dando la priorità alle essenze autoctone, va collocato motivando la scelta sia da un punto di vista tecnico-scientifico – facendo riferimento al microclima della zona, alla struttura del terreno, alla compatibilità con le altre essenze presenti, alle distanze da rispettare nella piantumazione, ecc. – che da un punto di vista estetico e formale – si pensi alla varietà di forma, profilo, volume, colore, profumo offerte dalle diverse essenze e dalla grande variabilità di risultato ottenibili – .
Un risultato che tenga conto di questi elementi, oltre ad essere corretto dal punto di vista squisitamente botanico, otterrà risultati in grado di suscitare emozione, di produrre sensazioni che invitano alla partecipazione del paesaggio.
IL PAESAGGIO COME LINGUAGGIO
I bisogni fondamentali dell’essere umano, come di qualsiasi altro essere vivente, sono collegati al bisogno di abitare qualche luogo del nostro mondo.
Il risultato dell’interazione tra l’uomo e la natura che egli ha abitato è il mondo che oggi abitiamo, determinato dal complesso di eventi legati alle peculiari situazioni fisiche, storiche, culturali, economiche e sociali proprie di ogni luogo e tempo.
Gli uomini hanno lottato per difendere ed estendere i loro territori, la cui occupazione è stata celebrata e perfezionata con parole, edifici, monumenti e, in alcuni tempi e luoghi particolarmente favorevoli, con giardini in cui alberi, acque, fiori e pietre sono stati raccolti e ordinati in modo da rappresentare una estensione dell’uomo stesso sulla faccia della terra.
Chi intendesse oggi fare altrettanto si troverebbe nella posizione appassionante di chi deve dare forma non solo a necessità materiali, ma anche psicologiche, combinando la propria sensibilità e competenza con i bisogni altrui, vivendo nello stesso tempo tutte le difficoltà legate alla confusione dei gusti e degli stili e al fatto che si sono persi riferimenti culturali e modelli compositivi.
D’altro canto deve esistere un ragionamento fondato su motivazioni logiche e riflessioni intelligenti tale da essere utilizzato come metro di giudizio per giudicare ciò che si vede e ciò che si fa; non la ricerca in chiave trattatistica di modelli fissi e invariabili, ma qualche norma di buona educazione paesaggistica: se un oggetto o un paesaggio ci sembrano belli, se una cosa che vediamo ci dà piacere immediato, ciò è dovuto alla nostra storia e cultura personale, ai luoghi e ai tempi che viviamo, ma in buona parte anche a motivi oggettivi.
Accanto alle risposte che coinvolgono le istituzioni politiche, economiche ed urbanistiche, quella individuale non può che avvenire da un cambiamento delle aspirazioni e dei modelli diffusi: la bellezza che ci interessa è quotidiana, è quella del paesaggio “domestico” composto dal dentro e dal fuori delle nostre abitazioni, dalle strade che normalmente percorriamo, dai luoghi che ci sono consueti e cari. Essa, quando esiste ed è godibile da tutti, è simbolo di grande democrazia: in questo senso rappresenta un valore umano e sociale incomparabile e forse detiene quel potere nobilitante che le attribuivano classici e romantici.
Sugli effetti benefici della bellezza non c’è da dubitare: dà ad esempio identità e sicurezza, come sa chi è nato in una bella casa, in un bel paese, in un bel contesto naturalistico. Induce inoltre ad una maggior cura: infatti amare le cose (quelle che contribuiscono alla bellezza civile, cose che per natura o costruzione fanno parte della storia di un popolo, ne rappresentano la cultura e il grado di civiltà) significa provare piacere a dividerle con gli altri.
Il sentiero sterrato tracciato sul dorso delle colline marchigiane non è soltanto una bella immagine, ma la sintesi di ipotesi funzionali efficaci ed “economiche” escogitate dall’uomo nel tempo per risolvere la necessità di collegamento, segno identitario con la funzione di approccio libero, differenziato, storicamente tradizionale, con la capacità di trasmettere un messaggio sugli antichi usi, sull’ antico modo diverso di vivere la campagna; il “segno” limite tra terra e cielo idealizzato dalla poetica di Leopardi o la sintesi astratta del “segno e non sogno” di Osvaldo Licini.
“A distruggere città e paesaggi hanno contribuito non solo una mentalità puramente merceologica che ricerca nella speculazione fonte di facile guadagno, ma la perdita del senso collettivo dell’armonia, dell’unità del fare e la formazione di una cultura fortemente …. L’unità del sentire tra coloro che provano “quel” tipo di gioia è un piacere unico, ma pieno di elementi universali, base di quel sentimento comunitario della bellezza che ci sforziamo di recuperare o almeno di insegnare ai nostri figli. È impossibile capire la bellezza di un manufatto senza amarlo: in tal caso non lo si vedrebbe nemmeno.
Le cose ci parlano con lingua limpida e chiara: la comprensione di quel linguaggio è alla base del piacere nel guardare e di ogni propensione amorosa per il fare… Non c’è arte se non c’è piacere nel farla: un piacere non solo intellettuale, ma che ci sa prendere nella nostra interezza, con veri e propri processi di innamoramento verso le forme che noi stessi o altri siamo riusciti a creare con abilità… Il piacere della bellezza, anche come dimensione erotica della vita: la gioia di creare una forma, di tirarla fuori da una tela o da un foglio di carta, il rischio di avventurarsi in una nuova esperienza, di vedere le proprie mani e il cervello muoversi all’unisono e provare un’eccitazione che lascia storditi.” ¹
Ma l’amore non basta: “occorre che ci siano conoscenza delle tecniche e delle altrui opere… Occorre l’ispirazione (il fuoco interiore che brucia dei romantici o l’equilibrio interiore che permette di capire la natura dei classici), quella cosa in più che fa si che chi la possiede sappia superare i limiti pesanti che il tempo ci pone, trasmettendo alla materia non solo una forma, ma un corpo interno, un linguaggio che si diffonde a chi guarda…
…Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’animo e delle mani; dietro la bellezza si sente sempre l’intelligenza della scelta …
Se a pochi è dato il talento, la capacità di creare opere grandi, a tutti noi resta la grande gioia di fare con cura, di mettere a frutto la maestria, di legarla con le sensazioni, per giungere a quella naturalezza espressiva che è una dote acquisita con il tempo. Se non siamo in grado di creare il sublime sforziamoci di creare il piacevole: spazi degni di essere amati, ricordati, luoghi del sentimento e della ragione.” ¹
Il fare senza cura è una delle principali cause del disastro dell’edilizia e del degrado del territorio italiani: chi non è stato capace di soffermarsi neppure un momento a guardare uno scorcio di fiume che entra nel mare, una collina pettinata dai filari di vite in un tramonto di fuoco, una piccola chiesa di mattoni che con grazia riversa la propria forza sulla piazza circostante, costui ha costruito senza amore per la propria terra e la propria storia.
La naturalezza viene considerata normalmente un spontaneità originaria, non deformata, a cui l’uomo deve collegarsi nella propria ricerca della verità e della realtà; non possiamo pensare che sia una dote solo istintiva, ma piuttosto una qualità che si raggiunge in fase matura poiché sottintende una conoscenza profonda, quella che permette di muovere le mani con maggiore libertà, ottenendo quella spontaneità che si ha quando le parti di un quadro, di una architettura, di un giardino danno luogo ad una forma così compiuta da non poter essere diversa. Come la natura che è così come è.
“… ogni sito possiede caratteristiche geologiche, idrogeologiche, botaniche, climatiche, architettoniche sue peculiari. Se le portiamo alla luce, rispettando la vocazione del luogo, scopriamo di volta in volta promesse di ordine formale o di ricercato naturalismo.” ²
Il progetto deve cercare il riequilibrio e soluzioni caute, naturali, in cui l’innovazione sia comunque partecipe dei significati, palesi o latenti dell’ambiente, rifuggendo concettualizzazioni spinte e false.
Il progetto ha l’obbligo di verificare la compatibilità linguistica degli elementi posti in rapporto con la molteplicità delle componenti, più o meno forti e significative, e dei valori o disvalori estetici dell’ambiente di riferimento.
È un approccio consapevole per cui l’ambiente deve essere il risultato oltre che di istanze utilitaristiche, economiche, politiche e funzionali, anche di istanze emotive; che riconosce che ogni ambiente, ogni contesto geografico e culturale, è portatore di valori unici e irripetibili che ne costituiscono l’identità: all’analisi ne spetterà l’individuazione, al progetto l’interpretazione.
Esiste “un’arte del rapporto (primo requisito della progettazione ambientale) il cui scopo è quello di prendere in considerazione tutti gli elementi che concorrono a definire uno specifico ambiente: gli edifici, la vegetazione, l’acqua, il traffico, e così via non sono che tasselli di una unica rappresentazione scenica.” ³
Così oltre al complesso di fattori legati alle peculiari situazioni fisiche, storiche, culturali, economiche e sociali, la progettazione deve tener conto anche di quelli che ineriscono in modo specifico l’applicazione della disciplina: le esigenze peculiari di ogni essenza, quelle dettate dalla composizione e organizzazione del verde, assumendo “la pianta” quale elemento costruttivo e compositivo del paesaggio, cosicché dietro ogni scelta si scorgano le motivazioni, il filo conduttore che lega le idee, le scelte alle cose, rifiutando lo standard e la casualità .
Ogni esemplare va collocato motivando la scelta sia da un punto di vista tecnico-scientifico – facendo riferimento al microclima della zona, alla struttura del terreno, alla compatibilità con le altre essenze presenti, alle distanze da rispettare nella piantumazione, ecc. – che da un punto di vista estetico e formale – si pensi alla varietà di forma, profilo, volume, colore, profumo offerte dalle diverse essenze e dalla grande variabilità di risultato ottenibili -.
Un risultato che tenga conto di questi elementi, oltre ad essere corretto dal punto di vista squisitamente botanico, otterrà risultati in grado di suscitare emozione, di produrre sensazioni che invitano alla partecipazione del paesaggio; un viale alberato di tigli, un boschetto di lecci, l’accostamento di olivi a cipressi o di palme ad oleandri: queste immagini, di cui ciascuno ha fatto esperienza nella propria vita, si fissano nei ricordi e riescono anche a distanza di tempo a suscitare forti emozioni.
Questa mentalità paesaggistica – e l’umiltà di approccio che comporta – rifuggirà dagli atteggiamenti stravaganti, che ricercano esclusivamente “l’immagine” quasi essa fosse fine a sé stessa, dagli effetti scenografici, dalle mode, dalla gratuità.
Il paesaggio è una risorsa trasformabile, ma non rinnovabile, che va protetta nella sua evoluzione; il che significa che ogni sua trasformazione deve essere compatibile e sostenibile. Compatibile con la morfologia e l’assetto dei luoghi, con la storia che ha determinato l’aspetto attuale e con l’aspetto futuro dei luoghi (in caso di mantenimento o trasformazione). Sostenibile in quanto è rapportato alla vita ed al lavoro degli uomini che in questi luoghi vivono e lavorano e di quanti vi vivranno e lavoreranno in futuro. Le tre parole chiave sono dunque conservare, recuperare e innovare.
“Bisogna saper leggere i luoghi, studiare a fondo non soltanto il fazzoletto di territorio nel quale si vuole costruire qualcosa di nuovo, ma anche tutto quello che c’è attorno, capire quali sono le sue specificità, qual è l’immagine che le persone che lo abitano ne hanno…
Ogni segno che decidiamo di lasciare sul territorio deve dialogare con quelli lasciati dai nostri predecessori e dalla natura. Se invece non se ne tiene conto, se cancelliamo tutto, non avremo lasciato un segno ma una ferita…
Sono deleterie le opere di certi architetti griffati che fanno monumenti di loro stessi creando edifici autoreferenziali, assolutamente sganciati dal contesto. Come pure tutti i tentavi di “rifare in stile” …
È assolutamente vero: ogni trasformazione deve avvenire senza che venga stravolta l’identità profonda di un luogo, che è data non soltanto dalle cose che ci sono, ma anche dalle relazioni che tra esse intercorrono…” ⁴
Giovanna Franco Repellini, Una casa non è una tazza, Franco Angeli 1995
C.W. Moore, W.J. Mitchell, W. Turnbull jr, La poetica dei giardini, Franco Muzzio Editore 1991
G. De Ferrari, V. Iacomussi, C. Germack, O. Taurini, Il Piano Arredo Urbano, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994
Ippolito Pizzetti, Raccontare il progetto per disegnarne il racconto, Acer 1/1993, Il verde editoriale
IL VALORE DEL PAESAGGIO
Il termine paesaggio deriva dal latino pagensis, aggettivazione di pagus, pietra di confine, villaggio, cioè parte di territorio naturale colonizzato e abitato dall’uomo, che lo localizza come proprio territorio. Il paesaggio non è l’ambiente naturale, ma è il luogo dove la storia umana si è sviluppata ed ha lasciato le sue tracce.
Fino a pochi anni fa, parlando di qualità del paesaggio, ci si riferiva alle sole componenti relative agli assetti urbani e ai beni architettonici; quando i fenomeni negativi si riferivano al paesaggio rurale erano spesso presentati come degradi ambientali, non comprendendo che anch’esso è un paesaggio culturale costruito nei secoli.
Ogni paesaggio narra il proprio carattere. I luoghi sembrano le pagine di un racconto i cui episodi spaziali puntuali sono coerenti gli uni agli altri, portatori di valori unici e irripetibili e legati da una sorta di filo conduttore che attribuisce loro una forte identità, risultato, oltre che di componenti utilitaristiche, economiche, politiche e funzionali, di componenti emotive; è in grado di suscitare emozione, di produrre sensazioni che invitano alla partecipazione del paesaggio.
La suggestione percettiva dei luoghi del paesaggio rurale marchigiano nasce dalla sua forte personalità, identità. Il susseguirsi di dolci pendii e formazioni calanchive, le docili valli disposte a pettine perpendicolarmente alla linea costiera, le zone boschive ai margini dei fossati, il mosaico di forme e colori dei poderi di piccole dimensioni si fissano nei ricordi e riescono anche a distanza di tempo a suscitare forti emozioni.
Il valore di un paesaggio dipende dalla sua integrità, qualità scenica, rappresentatività, naturalità, interesse storico. In una generale situazione di crescente scarsità di paesaggi integri, anche il più modesto di essi viene avvertito come raro e dunque di valore: forse l’integrità costituisce il requisito più importante del valore del paesaggio.
Il paesaggio è una risorsa trasformabile, ma non rinnovabile, che va protetta nella sua evoluzione; il che significa che ogni sua trasformazione deve essere compatibile e sostenibile. Compatibile con la morfologia e l’assetto dei luoghi, con la storia che ne hanno determinato l’aspetto attuale e che ne determineranno l’aspetto futuro. Sostenibile in quanto è rapportato alla vita ed al lavoro degli uomini che in questi luoghi vivono e lavorano e di quanti vi vivranno e lavoreranno in futuro.
Il paesaggio non è più da considerarsi un bene da sfruttare a prezzo di gravi e a volte irrecuperabili depauperamenti; deve essere invece gestito come un vero e proprio patrimonio di fattori capaci di produrre una reale moltiplicazione di ricchezza, se valorizzati nel rispetto delle loro peculiarità ed eccellenze.
La qualità del paesaggio può fornire un apporto sostanziale al decisivo equilibrio tra attività economiche e protezione dell’ambiente.
Il paesaggio, come recita la Convenzione europea del Paesaggio, “rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale e contribuisce così al benessere individuale e sociale”. Questa affermazione non va letta nei semplici termini di un romanticismo naturalistico.
Il paesaggio è un “bene” la cui qualità, sempre più ricercata, può favorire guadagni direttamente legati alle risorse territoriali di cui è più immediata espressione: dalle rendite fondiarie a quelle turistiche, alla produzione di beni materiali esclusivi ad alto valore aggiunto e difficilmente imitabili, come quelli di tipo agroalimentare, artigianale, industriale e nel settore dei servizi.
La Convenzione assume quindi come principio fondamentale che il paesaggio rappresenti una risorsa economica specifica proprio quando viene rispettato; è pertanto prioritario investire in esso politicamente. Un investimento sul paesaggio diventa quindi a tutti gli effetti un investimento anche economico che si riverbera sulla vita stessa di un territorio.
Le connessioni tra la dimensione paesaggistica e territoriale e quella economica diventano evidenti. In definitiva, l’azione umana non si può disgiungere dal paesaggio inteso nella sua complessità e complessività. Per capirci: se su un lotticino di terreno viene fatta una speculazione edilizia, o di destinazione d’uso, ci sarà un apparente vantaggio particolare per qualcuno, subito, in quel delimitato episodio, ma alla fine tutto il territorio perderà in qualità anche per colpa di quell’ intervento, il quale arriverà a pagare le conseguenze a sua volta della perdita di ricchezza globale di cui è causa.
Il fatto che la bellezza di un paesaggio sia un bisogno e abbia quindi anche un valore economico è ormai oggetto di studio.
Francesco Marangon e Tiziano Tempesta, economisti agrari, hanno stimato quanto vale la bellezza di un vigneto: circa mille euro all’ettaro. ¹
Il vino, l’olio, l’accoglienza di Umbria e Toscana valgono economicamente in maggior misura di prodotti equivalenti di altre zone perché a fare la differenza è proprio il paesaggio che li produce, creando valore aggiunto.
Marcheshire. La parola magica la scrisse il New York Times, e l’associazione immediata andò alla Toscana e al mitico “Chiantishire” modello di qualità turistica, sintesi felice di economia, cultura, qualità della vita. Qualcuno dall’altra parte del mondo aveva finalmente nominato qualcosa che appariva un’ambizione solo sussurrata, mai definitivamente compresa e interiorizzata.
Fu un sussulto di consapevolezza. ²
“È però necessario che il settore diventi non solo cosciente del valore di questa risorsa, ma anche il primo attore della sua difesa, contrastando i fenomeni a carattere degradativo, le conseguenze di politiche inappropriate, e riappropriandosi del ruolo di attore principale che la storia ha assegnato al mondo rurale per la costruzione e conservazione di questo patrimonio nazionale.” ³
Marangon F., Tempesta T., L’impatto paesaggistico della viticoltura collinare. Una valutazione economica in zona DOC del Friuli – Venezia Giulia. in: (aut. cit., a cura di) La valutazione dei beni ambientali come supporto alle decisioni pubbliche, Forum, Editrice Universitaria Udinese, Udine, 2001
Colli C., Marcheshire, Ricerca del consorzio Aaster per l’Assessorato al Turismo della Provincia di Ancona
Mauro Agnoletti e altri, Documento tematico gruppo di lavoro “Paesaggio” Piano Strategico Nazionale, Programmazione sviluppo rurale 2007-2013
APPUNTI SUL VERDE - GROTTAMMARE
Occorre rileggere il paese, ripartire dalle sue vocazioni di paese di mare e di collina, vocazione climatiche, paesaggistiche, culturali, ecc.
Ogni situazione ambientale, ogni spazio ha la sua vocazione: occorre, laddove si interviene, rispettarla ed esaltarla, progettando interventi, sia che riguardino il verde che il costruito, di forte caratterizzazione,.
Ciò che identifica un paese è la peculiarità delle sue caratteristiche, la morfologia e la tipologia degli insediamenti, l’immagine di essa formatasi attraverso secoli di storia vissuta fatta di cultura ufficiale e cultura popolare.
Particolarmente interessante è la rilettura delle testimonianze lasciateci in eredità dai nostri predecessori in epoche in cui ogni azione umana, ogni trasformazione fisica della città avveniva in armonia con la natura, con le cose, con i materiali; esisteva stretta relazione, coinvolgimento, complicità tra molteplici elementi (il vissuto della gente, della città, il costruito, il paesaggio, le abitudini, le vocazioni) rendendo così possibile e chiara la lettura delle motivazioni di ogni intervento ed escludendo ogni possibile gratuità.
I muretti, gli acciottolati, i sentieri di terra battuta, le siepi spontanee, gli alberi secolari, le fontane che sfruttano l’acqua delle sorgenti, i colori, i profumi, tutto risultava leggibile e motivato.
Rivalutare il passato significa restituire valore e dignità non solo ai luoghi e alle testimonianze della crescita civile della città, ma riconoscere validi ancora oggi lo spirito e il metodo che li ha prodotti.
Quello che va riprodotto è il filo conduttore che lega le cose, le idee, il pensiero e il conseguente rifiuto dello standard.
Il verde è un elemento che può ricucire le diverse parti del costruito di un paese (diverse dal punto di vista funzionale, morfologico, storico ed economico) e renderlo leggibile, riqualificando il centro, restituendo dignità alla periferia, collegandolo infine con la campagna circostante.
La presenza del verde, oltre a migliorare il paesaggio, è elemento fondamentale in diversi ambiti:
– il sociale: aggregando e favorendo gli scambi tra le persone di diversi strati sociali, di diversa età;
– il turistico: qualificando l’immagine di un paese e costituendo così un veicolo fondamentale del turismo;
– l’economico: con la presenza dei vivaisti che rappresentano una realtà già saldamente presente.
Grottammare, aprile 1994
Ipotesi per il recupero delle aree verdi nel Centro Storico di GROTTAMMARE
L’immagine che il Paese alto di Grottammare offre dalla “marina” è ancora oggi, in larga misura, quella che nel secolo scorso numerose testimonianze, più o meno illustri, ci hanno tramandato.
Nel 1841 il Mascaretti, storico grottammarese, in una descrizione, che nello stile e nei contenuti partecipa alla cultura romantica del tempo, ci offre la descrizione di una spiaggia marittima …”che, dopo quella di Sorrento e di Gaeta,.. è la più amena d’Italia;… che poggia su di un monte e distendendosi giù pel declino all’aspetto del mare, va a spandersi nè sobborghi della Madonna degli Angeli e di S. Agostino…
L’aprica situazione di quel suolo e la copia delle acque che limpide e fresche sgorgano dalle circostanti colline, rendono quelle adiacenze adatte alla coltura di aranci, limoni ed ogni maniera di agrumi…”.
Così nel 1889 lo Speranza, nella sua “Guida di Grottammare”, afferma che “a chi guarda dal lido e dai ponti del Tesino, appaiono disseminati sul pendio giardini, ville e villini, con i sparsi fabbricati, che danno vario e gradevole aspetto, al verde dei lauri, degli ulivi, degli agrumi e d’ogni altro genere di scelte di piante indigene ed esotiche da frutto e da bosco ; estesissima poi è la coltivazione all’aperto di agrumi dal melangolo al cedro, dei quali, pel clima temperato, nella zona litoranea dell’Aso fin verso il Tronto, è cento il paese, che ne pose l’emblema nel suo stemma e ne coltivò fin sullo scorcio del passato secolo due piante in piazza Peretti. Questo simpatico e prezioso dalle frutta dorate, ne da un mezzo milione, delle quali si fa attivo commercio nella provincia e nelle altre limitrofe, come se ne fa pure delle relative piante da vivaio e da vaso.”
Il notevole valore paesaggistico di queste immagini si fonda non su elementi che casualmente interagiscono; il magico equilibrio tra le diverse componenti è dato dal felice connubio tra caratteristiche climatiche, orografiche, di esposizione dei luoghi e motivazioni storiche, culturali ed economiche; elemento fondamentale nella costruzione di questo peculiare linguaggio paesaggistico è il verde, elemento mediatore del delicato rapporto tra città storica e campagna, tra paesaggio urbano e paesaggio agrario, simbioticamente legato al costruito, del quale condivide le sorti poichè nasce e si sviluppa seguendo gli stessi percorsi formativi.
Ancor oggi gli elementi fisici e le connotazioni formali del paesaggio non si sono modificati in modo apprezzabile: per motivi diversi esso ci giunge intatto, non influenzato dallo sviluppo e dalle trasformazioni delle attività urbane ferventi nel nuovo incasato.
Pochissimi gli edifici sorti nel 20° secolo, pochissimi gli interventi di trasformazione o manutenzione di quei luoghi.
Se da un canto l’abbandono e l’oblio hanno preservato il vecchio incasato e le sedimentazioni storiche di cui esso è testimone, dall’altro gli stessi sono stati la causa del deterioramento degli elementi su cui si basava quel linguaggio paesaggistico.
Il progetto delle opere in verde propone il paesaggio come valore, come entità storico-culturale, come una grande risorsa in grado di riqualificare il territorio.
Così come il costruito si è determinato in seguito ad un complesso di eventi legati alle peculiari situazioni fisiche, storiche, culturali, economiche e sociali, così la progettazione del delicato rapporto tra costruito e campagna non può non tener conto degli stessi elementi e di altri ancora che ineriscono in modo specifico l’applicazione della disciplina: le esigenze peculiari di ogni essenza, quelle dettate dalla composizione e organizzazione del verde, assumendo “la pianta” quale elemento costruttivo e compositivo del paesaggio, cosicchè dietro ogni scelta si scorgano le motivazioni, il filo conduttore che lega le idee, le scelte alle cose, rifiutando lo standard e la casualità .
Ogni esemplare va collocato motivando la scelta sia da un punto di vista tecnico-scientifico _facendo riferimento al microclima della zona, alla struttura del terreno, alla compatibilità con le altre essenze presenti, alle distanze da rispettare nella piantumazione, ecc._ , che da un punto di vista estetico e formale _ si pensi alla varietà di forma, profilo, volume, colore, profumo offerte dalle diverse essenze e dalla grande variabilità di risultato ottenibili_ .
Un risultato che tenga conto di questi elementi, oltre ad essere corretto dal punto di vista squisitamente botanico, otterrà risultati in grado di suscitare emozione, di produrre sensazioni che invitano alla partecipazione del paesaggio; un viale alberato di tigli, un boschetto di lecci, l’accostamento di olivi a cipressi o di palme ad oleandri: queste immagini, di cui ciascuno ha fatto esperienza nella propria vita, si fissano nei ricordi e riescono anche a distanza di tempo a suscitare forti emozioni.
Questa mentalità paesaggistica _ e l’umiltà di approccio che questa comporta_ rifuggirà dagli atteggiamenti stravaganti, che ricercano esclusivamente “l’immagine” quasi essa fosse fine a se stessa, dagli effetti scenografici, dalle mode, dalla gratuità e riuscirà forse a liberare le generazioni future dalla moltitudine di cedri atlantici, araucarie e magnolie presenti generosamente sia nel giardino del pastore sardo che in quello della casalinga di Voghera.
Le proposte progettuali procedono ad un riordino degli elementi presenti e di progetto al fine di ottenere un paesaggio di facile lettura, in cui sia chiara la gerarchia dei valori attribuita ai luoghi ed ai diversi elementi che contribuiscono a determinarne in modo univoco la “personalità”.
Vengono di seguito riportati i suggerimenti per gli interventi puntuali che si ritengono di maggiore importanza ed interesse, sia per la loro posizione strategica che per le caratteristiche salienti che essi presentano.
Centro Storico
Si propone per le aree del Vecchio Incasato un intervento di pulizia delle scarpate colonizzate da infestanti e la piantumazione di essenze mediterranee adatte alle aree a forte pendio che forniscono colori e profumi: ginestra (in prevelenza), mirto, lentisco, phillirea, cisto, lonicera e bouganvillea; macchie di leccio, alloro, cipresso completano, con le tonalità scure delle foglie, la gamma cromatica delle composizioni.
Piazza Peretti
Si propone la messa a dimora di un arancio _ memoria, simbolo ed emblema della città_ con griglia di protezione al centro della piazzetta; la presenza di un arancio al centro della pizzetta è testimoniata dal Mascaretti _ storico grottammarese_ già nell’’800.
Via Cagliata
Si propone il mantenimento del viale di tigli, immagine ormai consolidata; si propone altresì l’eliminazione degli oleandri, pianta sovradimensionata rispetto all’ampiezza del viale (ostruisce il libero transito sul marciapiede) e non adatta a posizioni ombreggiate.
Giardini privati
Si propone il reinserimento dell’arancio.
Parcheggio Paese Alto
Si propone la piantumazione di tigli, in continuità con la via Cagliata, e di bordure di iris blu sui muretti di sostegno dei dislivelli del terreno.
Via Castello – Porta Castello
Si propone la piantumazione di siepi con lo scopo di accentuare la prospettiva già suggerita dal viale di pini d’Aleppo esistenti.
Oasi di S. Maria ai Monti
Restauro del boschetto di lecci, esempio di un buon rapporto tra costruito e verde.
Belvedere
Si propone di enfatizzare le caratteristiche che fanno del luogo “il balcone dell’Adriatico”, accentuandone la vocazione di passeggiata romantica acquisita nel tempo, che sfrutta la suggestione data dall’affaccio sul mare e dal romitaggio dei luoghi. Si propone la creazione di un “Parco della poesia e della memoria” con riferimento ai nomi illustri di Pascoli, Carducci, D’Annunzio che qui hanno passeggiato.
Si propone l’inserimento di cipressi che, oltre a dare solennità ai luoghi, creano un ritmo anche nella fruizione visiva della sottostante marina; inoltre rose a cespuglio e sarmentose su strutture in legno e siepi in alloro; stele di pietra incise con versi ispirati dai luoghi e luce notturna radente concorreranno ad accentuare il carattere solitario e romantico dei luoghi.
Castello
Attualmente la sua visione e fruizione è completamente negata sia dalla marina sottostante che dalle aree ad esso adiacenti dalla fitta vegetazione di cui è ricoperto e circondato: si propone il taglio delle piante più vicine.
Il muraglione del Collegio (Istituzione Costante Maria)
Attualmente il muro di sostegno che insiste nel vasto giardino annesso al costruito è realizzato in cls; si ritiene che il susseguirsi dei muretti di sostegno ai dislivelli che si inseguono dalla Marina al Vecchio Incasato sia uno degli elementi caratteristici del paesaggio; pertanto si propone, nel rispetto della tradizione delle tecniche costruttive e dei materiali, la ricostruzione in laterizio del muraglione.
Boschetto
Il boschetto retrostante il Paese Alto ha una notevole valenza paesaggistica data dalla sua posizione strategica che lo rende visibile, in rapporto di continuità col Vecchio Incasato, da più angolazioni.
Si propone la bonifica del bosco (attualmente colonizzato da ailanti, acacie e rovi) attraverso l’introduzione di essenze tipiche del bosco mediterraneo.
La rieducazione del bosco vuole enfatizzare anche la presenza di un altro elemento paesaggistico di indubbio peso: il nastro di terra gialla _ la frana_ che collega l’Oasi al Paese Alto.
Fosso di Santa Lucia
Si propone la rinaturalizazione del fosso. Schermatura visiva con pannelli fonoassorbenti vegetali per attutire l’impatto con l’autostrada.
1997